Gregorio Samsa, svegliandosi un mattino da sogni agitati, si trovòtrasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo. Giacevasulla schiena, dura come una corazza e, sollevando un po' latesta, vide un addome arcuato, scuro, attraversato da numerosenervature. La coperta, in equilibrio sulla sua punta, minacciavadi cadere da un momento all'altro; mentre le numerose zampe,pietosamente sottili rispetto alla sua mole, gli ondeggiavanoconfusamente davanti agli occhi.
"Che mi è successo?" pensò. Non era un sogno. La sua camera, unavera camera per esseri umani, anche se un po' piccola, stava benferma e tranquilla tra le sue quattro note pareti. Sopra iltavolo, su cui era sparso un campionario di tessuti -Samsa eracommesso viaggiatore -era appesa un'immagine ritagliata, nonmolto tempo prima, da una rivista illustrata e collocata in unagraziosa cornice dorata. Raffigurava una donna che, in boa eberretto di pelle, sedeva ben dritta con il busto, alzando versol'osservatore un pesante manicotto di pelliccia in cui scomparivatutto l'avambraccio.
Lo sguardo di Gregorio passò allora alla finestra e il cielocoperto -si sentivano gocce di pioggia picchiettare sulla lamieradel davanzale -finì d'immalinconirlo. "Se dormissi ancora un po',e dimenticassi tutte queste stupidaggini?" pensò; ma la cosa eraimpossibile, perché abituato a dormire sul fianco destro, e nellostato in cui si trovava, non era in grado di assumere quellaposizione. Per quanta forza impiegasse nel cercare di buttarsisulla destra, ricadeva sempre sul dorso. Provò cento volte, chiusegli occhi per non vedere le sue zampine annaspanti e smise soloquando cominciò a sentire sul fianco un dolore leggero, sordo, maiprovato prima.
"Dio mio!" pensò, "che professione faticosa mi sono scelta! Tuttii santi giorni in viaggio. Le preoccupazioni sono maggiori diquando lavoravamo in proprio, in più c'è il tormento delviaggiare: l'affanno delle coincidenze, i pasti irregolari,cattivi, i rapporti con gli uomini sempre mutevoli, instabili, chenon arrivano mai a diventare duraturi, cordiali. Vada tutto aldiavolo!" Sentì un lieve prurito sul ventre; restando supino sitirò adagio verso il capezzale, per poter alzare meglio la testa,e trovò il punto che prudeva coperto da macchioline bianche che lolasciarono perplesso; provò a sfiorare il punto con una zampa, mala ritirò subito, perché il contatto gli provocò un brivido.
Scivolò di nuovo nella posizione di prima. "Queste alzatacce",pensò, "finiscono col rimbecillire. L'uomo deve avere il suosonno. Certi colleghi vivono come le donne di un harem. Se unamattina mi succede, per esempio, di rientrare in albergo pertrascrivere le commissioni ricevute, quei signori si sono appenaseduti per la prima colazione. Ci provassi io, col mio principale: che volo farei! D'altra parte, chi sa se non sarebbe una fortuna. Non fosse per i genitori, mi sarei licenziato da un pezzo, sareiandato dal principale e gli avrei detto quello che penso, dalla aalla zeta! Sarebbe dovuto cadere dallo scrittoio! Che strano modo,poi, di sedere sullo scrittoio e parlare da lì agli impiegati,specie se si considera che, sordo com'è, quelli devono andargliproprio sotto il naso. Ma non è detta l'ultima parola: appena avròmesso da parte tanto denaro da pagargli il debito dei mieigenitori, forse occorrono ancora cinque o sei anni, -lo faròsenz'altro. Allora ci sarà il grande distacco. Ma intanto mi devoalzare, il treno parte alle cinque".
Diede un'occhiata alla sveglia, che ticchettava sul cassettone. "Dio del cielo!" pensò. Erano le sei e mezzo, e le lancetteproseguivano tranquillamente il loro cammino, anzi la mezza eragià passata, erano ormai i tre quarti. Che la sveglia non avessesuonato? Dal letto si vedeva che era stata messa regolarmentesulle quattro; aveva senza dubbio suonato: possibile che avessecontinuato a dormire con quel suono che scuoteva i mobili? Nonaveva avuto un sonno tranquillo, ma forse per questo aveva dormitopiù pesantemente. Che avrebbe fatto? Il treno successivo partivaalle sette; per riuscire a prenderlo, avrebbe dovuto correre comeun matto, e il campionario non era ancora pronto, mentre lui, poi,non si sentiva troppo fresco e in forze. E anche se fosse riuscitoa prendere il treno, un rimprovero del principale era ormaiinevitabile: il fattorino lo aveva aspettato al treno delle cinquee da un pezzo doveva aver riferito sulla sua assenza. Era unacreatura del principale, senza volontà né cervello. E se si fossedato malato? Sarebbe stato molto penoso e sospetto, perché incinque anni di servizio non era ancora stato malato nemmeno unavolta. Il principale sarebbe venuto con il medico della mutua,avrebbe rimproverato ai genitori la pigrizia del figlio e tagliatocorto a tutte le obiezioni, rimettendosi al medico, per il quale,come si sa, esistono solo individui sanissimi, ma poltroni. E nelsuo caso avrebbe poi avuto tutti i torti? Non fosse stato per unacerta sonnolenza, inspiegabile dopo un riposo così lungo, Gregoriosi sentiva proprio bene, provava perfino un ottimo appetito.
Mentre pensava rapidamente a tutto questo, senza potersi deciderea lasciare il letto, la sveglia suonò le sei e tre quarti. Nellostesso tempo, qualcuno picchiò con cautela alla porta vicino alcapezzale.
"Gregorio!" chiamava una voce, quella della mamma. "Sono le sei e tre quarti. Non volevi partire?". La voce soave! Gregorio si spaventò quando sentì la propriarisposta. La voce, senza dubbio, era la sua di prima: ma ad essasi mischiava un pigolio lamentoso, incontenibile, che lasciavacapire le parole solo in un primo momento, ma subito ne alterava isuoni a un punto tale, da far dubitare di aver inteso bene. Gregorio avrebbe voluto dare una lunga risposta e spiegare tutto,ma, in quelle condizioni, si limitò a dire: "Sì, sì, grazie,mamma, sto già alzandomi". Attraverso la porta, la voce non dovésembrare diversa dal solito, perché la mamma fu tranquillizzatadalla spiegazione e si allontanò ciabattando. Ma quel brevedialogo aveva rivelato anche agli altri membri della famiglia cheGregorio, fatto insolito, era ancora in casa. Infatti ecco ilpadre picchiare piano, ma col pugno, a una delle porte laterali. "Gregorio, Gregorio!" gridò. "Che c'è?". E dopo un po' ripetéancora, con voce più bassa: "Gregorio, Gregorio!". Attraverso l'altra porta laterale, la sorella chiese piano: "Gregorio, non ti senti bene? Hai bisogno di qualche cosa?". Gregorio rispose a entrambi: "Sono già pronto!" sforzandosi direndere la sua voce normale con un'attenta pronuncia e lunghepause tra una parola e l'altra. Il padre tornò alla sua colazione,ma la sorella sussurrò: "Gregorio, apri, ti scongiuro!". Ma Gregorio non ci pensò nemmeno, ad aprire, e si rallegrò anzidell'abitudine, presa durante i suoi viaggi, di chiudersi, lanotte, in camera, anche a casa.
Voleva alzarsi tranquillo e indisturbato, vestirsi, soprattuttofare colazione, e poi pensare al resto, perché si rendeva contoche, se fosse rimasto a meditare a letto, non sarebbe mai arrivatoa una conclusione ragionevole. Si ricordò che altre volte avevasentito, a letto, un leggero dolore, forse provocato da unaposizione scomoda, che poi, appena alzato, si era rivelato fruttod'immaginazione; e ora era curioso di vedere come le fantasiedella mattinata si sarebbero a poco a poco dileguate. Era convintoche il cambiamento di voce fosse soltanto il preavviso di un forteraffreddore, malattia professionale dei commessi viaggiatori.
Buttare via la coperta fu una cosa da nulla: gli bastò gonfiarsiun poco e quella cadde da sola. Ma dopo cominciarono ledifficoltà, specialmente perché era così grosso. Avrebbe avutobisogno di braccia e di mani, per alzarsi; invece aveva soltantotutte quelle zampine in perpetuo movimento, che non riusciva adominare. Se provava a piegarne una, gli capitava, al contrario,di allungarla; quando riusciva infine a fare con essa ciò chevoleva, le altre, quasi fossero senza controllo, si muovevano conun'altissima e dolorosa intensità. "Via, via, inutile restare aletto!" si disse Gregorio.
Dapprima cercò di uscire dal letto con la parte inferiore delcorpo, ma questa parte, che non aveva ancora visto e che nonpoteva immaginare bene, era troppo difficile da muovere. Esasperato per la lentezza dell'operazione, raccolse tutte le sueforze e si slanciò in avanti, ma, avendo calcolato male ladistanza, picchiò contro il fondo del letto. Un dolore cocente gliinsegnò che la parte inferiore del suo corpo era, per il momento,la più sensibile.
Cercò allora di portare fuori prima il tronco, e giròprudentemente la testa verso l'orlo del letto. Questa manovrariuscì e la massa del corpo, nonostante la mole e il peso,accompagnò lentamente il movimento della testa. Quando però lasporse fuori dal letto, ebbe paura a spingersi ancora avanti: sefosse caduto così, infatti, si sarebbe fracassato la testa, a menodi un miracolo. In quel momento, non voleva proprio perdere ilcontrollo di sé; preferiva piuttosto restare a letto.
Ma quando, dopo altrettanta fatica, si ritrovò ansimante nellaposizione di partenza e vide le zampine agitarsi le une contro lealtre in modo, se possibile, ancora più rabbioso, di fronteall'impossibilità di mettere ordine e calma in quella confusione,si disse ancora una volta che non poteva assolutamente restare aletto e che la cosa più ragionevole era quella di sacrificare ognicosa alla speranza, sia pure minima, di alzarsi. Nello stessotempo, si disse che una calma, tranquilla riflessione era megliodi una decisione disperata. In quei momenti, di solito, glicapitava di fissare la finestra, ma questa volta la foschiamattutina, che nascondeva perfino le case all'altro lato dellastretta strada, poté ben poco sul suo umore. "Già le sette", sidisse a un nuovo segnale della sveglia, "già le sette e ancora unanebbia così". Per un po' rimase immobile, respirando appena, comese aspettasse dall'immobilità assoluta il ritorno alla vitanormale.
Ma poi si disse: "Prima delle sette e un quarto, devo averlasciato il letto ad ogni costo. Nel frattempo, sarà di certovenuto qualcuno della ditta a chiedere notizie, perché apronoprima delle sette. Si accinse a buttarsi fuori del letto di uncolpo solo, con tutto il corpo. Se si lasciava cadere in questomodo, la testa, che nella caduta avrebbe cercato di teneresollevata, sarebbe rimasta illesa. La schiena sembrava dura: cadendo sul tappeto, non le sarebbe successo niente. Soprattuttotemeva il rumore che avrebbe prodotto, l'apprensione, se non lospavento, che avrebbe destato dietro le porte. Ma bisognavacorrere questo rischio.
Quando Gregorio ebbe una metà del corpo fuori del letto -il nuovosistema era più un gioco che una fatica, bastava dondolarsi conpiccole scosse -pensò quanto tutto sarebbe stato semplice sequalcuno lo avesse aiutato. Due persone robuste come il padre e ladomestica sarebbero bastate; passate le braccia sotto la suaschiena arcuata, così da farlo sgusciare dal letto, bastava che sifossero chinati con il carico e avessero aspettato, tranquilli,che lui si rovesciasse sul pavimento, dove le zampine, c'era dasperare, si sarebbero dimostrate utili. Ma a parte il fatto che leporte erano chiuse, avrebbe fatto bene a chiedere aiuto? A questopensiero, nonostante le difficoltà, non poté trattenere unsorriso.
La sua manovra era tanto avanzata che, con una oscillazione piùenergica, avrebbe definitivamente perso l'equilibrio; dovevadunque decidersi, perché entro cinque minuti sarebbe scaduto ilquarto. In quel momento suonò il campanello d'ingresso. "E'qualcuno della ditta", si disse; e si sentì agghiacciare, mentrele zampine ballavano ancor più velocemente. Per un momento, non sisentì niente. "Non aprono", si disse Gregorio, in preda a unasperanza irragionevole. Poi, come sempre, naturalmente, ladomestica andò con il suo passo pesante alla porta e aprì. AGregorio bastò sentire la prima parola di saluto del visitatore,per capire di chi si trattava: il procuratore in persona. Maperché Gregorio era condannato a lavorare in una ditta dove laminima mancanza faceva nascere i più gravi sospetti? Gli impiegatierano dunque tutti dei mascalzoni? Non poteva esserci tra loro unapersona fidata, devota, che, per avere sottratto qualche ora alladitta, impazziva dal rimorso, fino a non essere più in grado dialzarsi dal letto? Non bastava mandare un garzone, se eraindispensabile mandare qualcuno; doveva venire il procuratore inpersona, per mostrare a tutta la famiglia, che era assolutamenteinnocente, che le indagini su un caso tanto sospetto potevanovenire affidate solo alla sua intelligenza? Più per l'agitazionein cui questi pensieri lo avevano messo che di proposito, Gregoriosi slanciò, con tutte le sue forze, fuori dal letto. Il tonfo fusonoro, ma non quanto temeva. Il tappeto aveva attutito la caduta,poi la schiena era più elastica di quanto Gregorio pensasse. Nonaveva, però, sollevato abbastanza la testa, che aveva picchiatosul pavimento. Pieno di stizza e di dolore, la girò e la strofinòsul tappeto.
"Là dentro è caduto qualche cosa" disse il procuratore nellacamera di sinistra. Gregorio si chiese se un giorno non sarebbepotuto capitare anche al procuratore, quello che stava accadendo alui; in sé, la cosa poteva essere anche possibile. Ma quasi perribattere duramente a questa ipotesi, nella stanza vicina ilprocuratore fece alcuni passi risoluti, facendo scricchiolare lescarpe di vernice. Dalla camera di destra, la sorella sussurrò,per avvertire Gregorio: "Gregorio, c'è il procuratore!". "Lo so", mormorò Gregorio, senza tuttavia alzare la voce tanto dafarsi udire dalla sorella.
"Gregorio", disse il padre dalla stanza di sinistra, "il signorprocuratore è venuto a sentire perché non sei partito con il trenodell'alba. Noi non sappiamo cosa dirgli, del resto vuole parlarepersonalmente con te. Apri la porta, avrà certo la bontà discusare il disordine della camera".
"Buon giorno, signor Samsa!" lo interruppe in tono cordiale, ilprocuratore. "Non sta bene!" diceva la madre al procuratore, mentre il padrecontinuava a parlare accanto alla porta. "Mi creda, signorprocuratore, non sta bene! Altrimenti, come avrebbe potuto perdereil treno? Quel ragazzo pensa solo alla ditta. Quasi mi arrabbio, avedere che la sera non esce mai; è in città otto giorni, e èrimasto sempre in casa. Siede a tavola con noi e legge tranquilloil giornale o studia l'orario ferroviario. Per distrarsi, glibastano i suoi lavori di intaglio. In due o tre sere, per esempio,ha intagliato una piccola cornice: rimarrà meravigliato nel vederequanto è graziosa; è appesa nella camera, la vedrà non appenaGregorio avrà aperto. Del resto, sono contenta che lei sia qui,signor procuratore: da soli, non saremmo riusciti a convincereGregorio a aprire la porta, è così testardo, e di sicuro non stabene, sebbene stamattina presto lo abbia negato".
"Vengo subito", disse Gregorio lento e circospetto; ma non simosse, per non perdere una parola del dialogo. "Neanche io, signora, posso spiegarmi la cosa in altro modo",disse il procuratore. "Speriamo non sia niente di grave. D'altraparte, debbo dire che noi, uomini d'affari, per nostra fortuna edisgrazia, come si vuole, dobbiamo spesso trascurare un leggeromalessere, per seguire le nostre faccende". "Allora, può entrare il signor procuratore?" chiese il padreimpaziente, picchiando ancora alla porta. "No", disse Gregorio. Nella stanza di sinistra subentrò un silenzio penoso, in quella didestra la sorella cominciò a singhiozzare.
Perché la sorella non andava con gli altri? Si era certo alzata inquel momento e non aveva cominciato a vestirsi. E perché piangeva? Perché lui non si alzava e non faceva entrare il procuratore,perché rischiava di perdere il posto, perché in questo caso ilprincipale avrebbe ripreso a perseguitare i genitori con i vecchicrediti? Per ora queste preoccupazioni erano davvero fuori luogo. Gregorio era sempre lì e non pensava affatto di abbandonare lafamiglia. Giaceva sul tappeto e nessuno, nel vederlo in quellacondizione, avrebbe potuto pretendere sul serio che facesseentrare il procuratore. Non potevano licenziarlo in tronco per unapiccola scortesia, che si sarebbe potuta facilmente giustificarein seguito. Gregorio pensò che sarebbe stato molto più ragionevolese lo avessero lasciato in pace, invece di disturbarlo con piantie consigli. Ma si rese anche conto che si comportavano così perchénon sapevano cosa pensare, e li scusò.
"Signor Samsa!" disse il procuratore, alzando la voce. "Chesuccede dunque? Si barrica nella sua stanza, risponde soltanto condei sì e dei no, procura ai suoi genitori grosse, inutilipreoccupazioni e trascura, sia detto di sfuggita, i suoi doveriprofessionali in maniera veramente inaudita. Le parlo in nome deisuoi genitori e del suo principale, la prego formalmente dirispondere subito e chiaro. Sono molto, molto stupito. Credevo diconoscerla come un uomo tranquillo, ragionevole, e ora sembraimprovvisamente che lei abbia intenzione di mettersi a fare lostravagante. Il principale, stamattina, ha accennato a unaspiegazione per la sua assenza, a un certo incasso consegnatolepoco tempo fa, ma io ho dato la mia parola d'onore che tra i duefatti non c'era nessun rapporto. La sua ostinazioneincomprensibile mi ha fatto passare la voglia di intercedereancora per lei. Immagino saprà che la sua posizione non è moltosolida. Avevo intenzione di raccontarle ogni cosa a quattr'occhi,ma poiché lei mi fa perdere tempo senza inutilmente, non capiscoperché non debbano essere informati anche i suoi genitori. Il suolavoro, in questi ultimi tempi, ha lasciato molto a desiderare. Lastagione non è favorevole, d'accordo, ai grossi affari; ma nonesiste una stagione in cui non se ne combina nessuno, signorSamsa, non deve esistere".
"Signor procuratore!" gridò Gregorio fuori di sé, dimenticando,per l'agitazione, tutto il resto. "Apro immediatamente. Un leggeromalessere, un po' di vertigine, mi hanno impedito di alzarmi. Sonoancora a letto, ma sarò subito a posto. Mi alzo subito. Un momentodi pazienza! Non sto ancora come speravo, ma va già meglio. Chi siaspettava una cosa simile, così all'improvviso? Ieri sera stavobenissimo, i miei genitori lo sanno, o, per essere precisi,proprio ieri sera sentii qualcosina. Mi si doveva vedere in viso. Perché non ho avvertito la ditta? Uno spera sempre che ilmalessere passi, senza bisogno di restare a casa. Signorprocuratore! Abbia riguardo per i miei genitori. Tutti irimproveri che lei mi ha fatto sono infondati: nessuno ne ha maifatto parola con me. Forse non ha letto le ultime ordinazioni cheho spedito. Del resto, posso ancora partire col treno delle otto,qualche ora di riposo è bastata per rimettermi. Non si trattenga,signor procuratore, io stesso sarò subito in ditta, abbia la bontàdi dirlo al principale, presentandogli i miei omaggi!"
Mentre buttava fuori a precipizio tutte queste parole, senzasapere quello che diceva, Gregorio si era avvicinato agevolmenteal cassettone, grazie alla pratica fatta sul letto, e cercava didrizzarsi appoggiandosi al mobile. Voleva aprire la porta, farsivedere, parlare con il procuratore; era ansioso di sapere che cosaavrebbero detto, vedendolo, quegli stessi che ora si affannavanotanto a cercarlo. Se si fossero spaventati, allora poteva staretranquillo, era libero da ogni responsabilità. Se invece nonavessero dato a vedere nulla, anche in questo caso non avrebbeavuto ragione di inquietarsi e, se faceva in fretta, poteva esserein stazione per le otto.
Scivolò diverse volte contro la lisciasuperficie del mobile, poi, con un ultimo slancio, riuscì araddrizzarsi: ai dolori all'addome non faceva più caso, percocenti che fossero. Si lasciò andare contro la spalliera di unasedia vicina e ad essa si aggrappò con le sue zampine. Ora avevaraggiunto il dominio di sé. Rimase, in silenzio, ad ascoltare ilprocuratore.
"Loro hanno capito qualcosa?" chiedeva il procuratore ai genitori. "Non ci starà prendendo in giro?". "Per l'amor di Dio!" gridò la madre tra le lacrime. "Forse stamalissimo, e noi lo tormentiamo. Grete! Grete!" chiamò. "Sì,mamma", rispose la sorella dall'altra parte; si parlavanoattraverso la camera di Gregorio. "Corri subito dal dottore. Gregorio sta male. Svelta, dal dottore. Hai sentito come parla?". "Era la voce di un animale", disse il procuratore, in tonosingolarmente basso, rispetto alle grida della madre.
"Anna, Anna!" gridò il babbo, attraverso l'anticamera, indirezione della cucina, e batté le mani. "Vada subito a chiamareun fabbro!". In un gran fruscio di gonne le due ragazze corsero attraversol'anticamera -come aveva fatto, la sorella, a vestirsi tanto infretta? -e spalancarono la porta d'ingresso. Non si sentìrichiuderla; dovevano avere lasciato la porta aperta, come succedenelle case in cui è avvenuta una grave disgrazia.
Gregorio, intanto, era molto più calmo. Dunque, le sue parole nonerano più comprensibili, sebbene a lui fossero sembrate abbastanzachiare, anzi più chiare di prima, forse perché ci aveva fattol'orecchio. Ma allora gli altri dovevano avere capito che qualcosanon andava, e lo avrebbero aiutato. La fermezza e la risolutezzacon cui erano stati presi i primi provvedimenti gli avevano fattobene. Si sentiva di nuovo compreso nella cerchia umana;dall'intervento del medico e del fabbro insieme, senza troppodistinguere, sperava imprevisti, meravigliosi risultati. Per avere una voce quanto più chiara possibile nelle prossime,decisive conversazioni, tossicchiò, raschiandosi la gola, ma condiscrezione, perché era probabile -da solo non si sentiva didirlo con certezza -che essa non suonasse come una tosse umana. Nella stanza accanto, non si sentiva più niente. Forse i genitorierano seduti accanto al tavolo col procuratore, e parlavano sottovoce, forse stavano con l'orecchio incollato alla porta, inascolto.
Pian pianino, Gregorio si spinse fino alla porta, tenendosiaggrappato alla sedia. Abbandonata la sedia, si lasciò andare,dritto, contro la porta -le estremità delle sue zampine eranoleggermente vischiose -e si concesse un attimo di riposo. Poi simise a girare, con la bocca, la chiave nella toppa. Visto,purtroppo, che non aveva denti, come avrebbe potuto stringere lachiave? Gli venne in mente che disponeva di robustissime mascelle: con il loro aiuto, riuscì a girare la chiave, senza accorgersi diessersi, in qualche modo, ferito, se non quando dalla bocca unliquido scuro cominciò a colare sulla chiave, gocciolando poi sulpavimento. "Sentite!" disse il procuratore nella stanza accanto.
"Sta girando la chiave". Queste parole furono, per Gregorio, digrande incoraggiamento, tutti avrebbero dovuto incitarlo, anche ilbabbo e la mamma: "Forza Gregorio!" avrebbero dovuto gridare: "Nonmollare, dacci sotto con la serratura!" Gli sembrava di vederlimentre, pieni d'ansia, seguivano i suoi sforzi. Fece appello atutte le sue energie e si accanì frenetico sulla chiave. Accompagnava i progressi della chiave con una specie di danzaintorno alla serratura: reggendosi con la bocca, a seconda delbisogno, restava sospeso alla chiave o vi gravava sopra con tuttoil suo peso. Il secco rumore di uno scatto, lo fece trasalire. Conun respiro di sollievo, si disse: "Non ho avuto bisogno delfabbro", e posò la testa sulla maniglia, per tirare a sé l'uscio.
La porta, a questo punto, era aperta; ma Gregorio ancora non sivedeva. Doveva girare adagio, facendo molta attenzione, intornoall'imposta aperta, se proprio sulla soglia non voleva caderemalamente sulla schiena. Stava appunto compiendo, con grandecautela, questa manovra, quando sentì il procuratore emettere un"Oh!" che sembrò il sibilo del vento. Poi lo vide portare una manocontro la bocca spalancata -stava davanti agli altri eindietreggiare lentamente, quasi fosse spinto, con pressionecostante, da una forza invisibile. La madre, ancora coi capellisciolti e arruffati, nonostante la presenza del procuratore,guardò a mani giunte il padre, fece due passi verso Gregorio, poisi afflosciò a terra in mezzo alle sottane che le si allargavanointorno, sprofondando il viso nel seno. Il padre strinse i pugnicon aria minacciosa, quasi volesse ricacciare Gregorio nella suastanza, poi si guardò intorno smarrito, si mise le mani davantiagli occhi, e scoppiò in singhiozzi.
Gregorio non entrò nella stanza. Appoggiato all'imposta rimastachiusa, e mostrando solo metà del corpo, fissava i presenti con latesta piegata da una parte. Intanto, si era fatto molto piùchiaro; dalla finestra si vedeva benissimo un pezzo del lungofabbricato di fronte, un ospedale di colore grigioferro, con lesue finestre tutte uguali ritagliate sulla facciata. La pioggianon aveva smesso di cadere, c'erano ancora grosse gocce bendistinte che finivano a terra una per una. Piatti, vasetti,tazzine e altre cose coprivano ancora il tavolo; per il padre, laprima colazione era il pasto più importante della giornata e luilo faceva durare ore, leggendo diversi giornali. Sulla parete difronte era appesa una fotografia di Gregorio, quando era militare: in uniforme di tenente, la mano sulla sciabola, sorrideva felice eincuteva, insieme, rispetto. Attraverso la porta dell'anticamera equella dell'ingresso, si vedeva il pianerottolo e un primo pezzodi scale.
"Ora", disse Gregorio, consapevole di essere il solo ad avereconservato la calma, "mi vesto subito, metto in ordine ilcampionario e parto. Volete farmi partire? Vede bene, signorprocuratore, che non sono un testardo e che mi piace lavorare: viaggiare è faticoso, ma che farei se non viaggiassi? Dove va,ora, signor procuratore? In ditta? Ah sì? Riferirà tutto per filoe per segno? Una persona, a un certo punto, può essere incapace dilavorare, ma proprio allora gli altri dovrebbero ricordarsi dicome ha sempre lavorato; pensare che in seguito, eliminati gliostacoli, lavorerà con impegno e attenzione ancora maggiori. Leisa quali obblighi ho verso il principale. Inoltre devo pensare aimiei genitori e a mia sorella. Sono nei guai ma me la caverò. Lei,per favore, non mi renda la cosa più difficile di quanto è. Inditta, mi difenda! Il viaggiatore non è amato, lo so. Pensano cheguadagni un sacco di quattrini e che faccia una bella vita. Purtroppo non ho argomenti per confutare questo pregiudizio. Malei, signor procuratore, lei sa meglio degli altri come stanno lecose; in confidenza, anzi, lo sa anche meglio del principale, che,considerata la sua posizione, può essere portato a giudicare maleun impiegato. Lei sa che il viaggiatore, standosene lontano pertutto l'anno dalla ditta, è facile vittima di pettegolezzi, dicasi fortuiti, di lagnanze ingiustificate, e che non puòdifendersi perché, in genere, ignora tutto; e quando è di ritorno,stanchissimo, da un giro, sperimenta sulla sua pelle leconseguenze di cause ormai impossibili da ricostruire. Signorprocuratore, non se ne vada senza avermi prima, in qualche modo,tranquillizzato che mi darà almeno un po' di ragione!"
Ma già alle prime parole il procuratore si era girato, econsiderava Gregorio, scuotendo le spalle, con la faccia scura. Senza smettere di guardarlo, a poco a poco, quasi che gli fossevietato di lasciare la stanza, si avvicinò alla porta. Messo unpiede in anticamera, ritrasse l'altro con fulminea rapidità dalsalotto, come se il pavimento scottasse; poi fece con la destra ungran gesto verso la scala, come se da quella parte lo aspettasseuna liberazione soprannaturale.
Gregorio comprese che non poteva lasciarlo andare in quel modo, segli stava a cuore il posto nella ditta. Ma i genitori non sapevanovedere altrettanto chiaro. Con il passare del tempo, si eranoconvinti che Gregorio era sistemato per tutta la vita; in quelmomento, poi, il loro smarrimento era così grande, che non eranocerto in grado di prevedere nulla. Gregorio, lui, immaginava cosasarebbe successo. Dovevano fermare il procuratore, calmarlo,convincerlo, infine conquistarlo: ne andava del futuro di Gregorioe della sua famiglia! Se almeno ci fosse stata la sorella: leicapiva, aveva già pianto quando ancora Gregorio se ne stava nellasua stanza, tranquillamente coricato sulla schiena. Ilprocuratore, che aveva un debole per il gentil sesso, le avrebbecertamente dato ascolto; lei avrebbe chiuso la porta di casa e inanticamera lo avrebbe convinto che il suo spavento erairragionevole. Ma la sorella non c'era e Gregorio se la dovevacavare da solo.
Senza pensare a come avrebbe potuto spostarsi,nelle condizioni in cui era, né se il suo discorso era statocompreso -probabilmente no -abbandonò il suo sostegno e siaffacciò oltre la soglia per raggiungere il procuratore, mentrequello si aggrappava in modo grottesco alla balaustra delle scale;ma perse l'equilibrio e, con un debole grido, cadde sulle zampine. Immediatamente, e fu la prima volta, nella mattinata, provò unaspecie di benessere fisico. Notò con soddisfazione che le zampine,con qualcosa di solido sotto, obbedivano a meraviglia, fremevanoaddirittura dal desiderio di portarlo dove voleva: e così pensòche la guarigione da tutti i suoi mali era imminente. Mentre tuttofremente per la voglia di muoversi, rimaneva sul pavimento,proprio di fronte a sua madre, questa, che sembrava esanime, saltòd'un tratto in piedi, spalancò le braccia allargando le dita egridò: "Aiuto, per l'amor di Dio, aiuto!". A giudicare dal suo capo chino, sembrava che volesse guardareGregorio; cominciò, invece, a indietreggiare a precipizio, senzapensare alla tavola ancora apparecchiata, la urtò, vi si sedettesopra, come avrebbe fatto una persona distratta; e non sembròneppure accorgersi che dalla grande caffettiera rovesciata unrivolo di caffè cominciò a scorrere sul tappeto.
"Mamma, mamma", disse piano Gregorio, alzando gli occhi. Avevadimenticato il procuratore; ma, alla vista del caffè che scorreva,non poté impedirsi di far scattare più volte le mascelle a vuoto. La mamma gettò un altro grido, lasciò di corsa il tavolo e caddetra le braccia del padre, che le era corso incontro. Ma Gregorionon aveva più tempo per i genitori: il procuratore era sulla scalae, con il mento sulla ringhiera, guardava per l'ultima voltaall'indietro. Gregorio prese la rincorsa, per cercare diraggiungerlo, ma il procuratore dovette intuire qualche cosa,perché con un salto superò diversi gradini e scomparve con un"Uh!" che risuonò per le scale. La fuga del procuratore,purtroppo, fece perdere la testa anche al padre, fino ad alloraabbastanza calmo. Invece di inseguire il procuratore o almeno dilasciare che Gregorio lo inseguisse, afferrò con la destra ilbastone, lasciato dal visitatore su una sedia con il cappotto e ilcappello, prese con la sinistra un giornale dal tavolo, quindi,battendo i piedi e agitando bastone e giornale, prese a spingereGregorio nella sua camera. Non servì nessuna preghiera, che delresto non era neppure capita; mentre i movimenti supplichevolidella testa servirono solo a rendere più violento il battere deipiedi.
Nonostante il freddo, la madre aveva spalancato unafinestra e, sporgendosi quanto più poteva, si stringeva il visotra le mani. Tra la sala e il pianerottolo delle scale ci fu unaforte corrente d'aria, le tende delle finestre volarono in alto, igiornali sul tavolo frusciarono e alcuni fogli volarono sulpavimento. Senza pietà il padre continuava a incalzare Gregorio,emettendo sibili da selvaggio. Gregorio, che non aveva nessunapratica della marcia indietro, procedeva molto adagio. Se si fossepotuto girare, avrebbe raggiunto subito la camera, ma, perdendotempo con quella manovra, temeva di spazientire il padre, mentre,d'altra parte, aveva paura per un colpo di bastone, che sarebbestato fatale per la sua schiena o per la sua testa. Ma presto nongli restò altro da fare: con spavento si accorse che,indietreggiando, non sapeva mantenere la direzione. Continuando alanciare al babbo occhiate piene di angoscia, cominciò a eseguirela conversione con la maggiore rapidità possibile, e cioè conestrema lentezza. Forse il padre capì la sua buona volontà perchéinvece di disturbarlo, si mise a dirigere, da lontano, ilmovimento, aiutandolo anzi, ogni tanto, con la punta del bastone.
Se soltanto avesse smesso con quel sibilo intollerabile! AGregorio gli faceva proprio perdere la ragione. Si era quasicompletamente girato quando, frastornato da quel rumore, siconfuse, e ricominciò a girare in senso opposto. In ogni modo,quando fu arrivato di fronte alla porta aperta, si accorse che ilsuo corpo era troppo grosso per passare. Nello stato d'animo incui si trovava, il padre non pensò neppure, naturalmente, adaprire l'altra imposta. La sua idea fissa era di ricacciare subitoGregorio in camera, non si sarebbe rassegnato ai lunghipreparativi necessari a quello per passare, dritto, dall'altraparte. Come se non ci fosse nessun ostacolo, incalzava Gregoriofacendo più baccano che mai, la sua voce sembrava moltiplicata permille. Ora c'era poco da scherzare; e Gregorio rischiò il tuttoper tutto. Ma nello slancio ribaltò, rimanendo incastrato sulfianco e producendosi una lunga escoriazione, mentre la biancasuperficie della porta si sporcava di umori e di sangue. Da solo,non sarebbe più stato capace di muoversi: le sue zampine, da unaparte si agitavano inutili nell'aria, dall'altra erano schiacciatedolorosamente contro il pavimento. In quel momento il padre glidiede il colpo di grazia di grazia e lui, con un gran volo,perdendo sangue abbondantemente, finì nella sua camera. La portavenne chiusa con il bastone, e infine tutto fu silenzio.